Self-Esteem and Self-Efficacy
Per una migliore vita lavorativa
Il valore di sè e delle proprie competenze
Valgo o non valgo? Riesco o non riesco? Sono capace oppure no? Questi ed altri sono gli interrogativi che ci accompagnano nella ricerca di una definizione di “sè che vale” e che si sente riconosciuto. Ne deriva che avere un’immagine positiva di se stessi e credere nelle proprie capacità sono fattori che incidono positivamente sull’adattamento ai contesti lavorativi e sulla qualità della job performance.
Overview
- L’autostima rappresenta la percezione che ognuno ha del proprio valore e delle proprie risorse personali.
- Il senso di autoefficacia corrisponde alla percezione di competenza.
- Una sana autostima e un buon livello di autoefficacia producono effetti positivi anche in ambito lavorativo.
Autostima: Quanto valgo?
L’etimologia della parola “autostima” deriva dal verbo latino “aestimare” che significa “valutare” nella doppia accezione di “determinare il valore di” e “avere un’opinione su”. Il concetto di autostima include, quindi, più elementi: il come ognuno di noi si vede e si valuta e, non da ultimo, che tipo di valore si attribuisce.
Ne deriva che l’autostima rappresenta l’immagine che ciascuno ha di sé che si costruisce fin dall’infanzia ed è la risultante della combinazione di vari fattori a carattere sia emotivo che cognitivo e comportamentale.
Citando Bracken (2009) potremmo definirla come “uno stile di risposta appreso che riflette le valutazioni operate dall’individuo rispetto alle sue esperienze e comportamenti passati e che predice, in una certa misura, i suoi comportamenti futuri“.
Autoefficacia: Cosa sono capace di fare?
La percezione di autoefficacia, a parere di Bandura (1996), si riferisce alla “convinzione nelle proprie capacità di organizzare e realizzare il corso di azioni necessario a gestire adeguatamente le situazioni che si incontreranno in modo da raggiungere i risultati prefissati”.
Si tratta di una percezione di competenza che attiva cognizioni (e.g. problem-solving, la definizione di obiettivi), motivazioni (e.g. attribuzione causale), emozioni, condotte (e.g. capacità di decision making) e tutto ciò che serve all’individuo per apprendere in modo efficace.
Quando l’autostima e l’autoefficacia sono irrealistiche
Sindrome dell’impostore
La sindrome dell’impostore (dall’inglese impostor syndrome, o anche impostor phenomenon) è un mix di senso di colpa per i traguardi raggiunti, mancata introiezione del successo, paura della valutazione, sentimenti di indegnità e inefficienza professionale e formativa.
Le prime a parlarne sono state Pauline Clance e Suzanne Imes (1978) che hanno identificato il fenomeno in un gruppo di donne di successo, le quali non si sentivano meritevoli del prestigioso ruolo ricoperto.
Col tempo è stato dimostrato come la sindrome dell’impostore non si diffonde soltanto tra le donne, ma condiziona piuttosto una vasta fetta di popolazione colta e istruita che ricopre ruoli apicali in diversi settori, tra cui istruzione, assistenza sanitaria, contabilità, finanza, legge e marketing (Huffstutler & Varnell, 2006; Parkman & Beard, 2008). Anche studenti e docenti universitari sono particolarmente propensi a manifestarla (McDevitt, 2006).
I soggetti colpiti ritengono (erroneamente!) che i successi formativi e lavorativi siano legati a fattori esterni (nonostante le evidenze a supporto siano contrarie) che a fattori interni: non credendosi degni di promozioni, riconoscimenti e ricompense, preferiscono percepirsi come “impostori”.
Effetto Dunning-Kruger
L’eccessiva autostima/autoefficacia può essere correlata al cosiddetto effetto Dunning-Kruger (dal nome dei due studiosi che per primi hanno teorizzato il fenomeno). Si tratta di una distorsione cognitiva a causa della quale individui inesperti tendono a sopravvalutarsi, rifiutando di accettare la propria carenza di competenze.
Il fenomeno ipotizzato venne verificato con una serie di esperimenti condotti dagli autori nell’ambito di attività tra loro diverse quali la comprensione nella lettura, il gioco a scacchi o la pratica del tennis. I ricercatori ipotizzarono che, per una data competenza, le persone inesperte, connotate da tale effetto, tenderebbero a sovrastimare il proprio livello di abilità poichè:
- non si rendono conto dell’effettiva capacità degli altri;
- non si rendono conto della propria inadeguatezza;
- si renderebbero conto e riconoscerebbero la propria precedente mancanza di abilità qualora ricevessero un addestramento per l’attività in questione.
Dunning e Kruger decisero di testare queste ipotesi sugli studenti dei primi anni dei corsi di psicologia della Cornell University. In una serie di studi, esaminarono il self-assessment che i soggetti davano sulle proprie capacità di ragionamento logico, grammaticale, umoristico. Dopo essere venuti a conoscenza del proprio punteggio nei test, ai soggetti veniva nuovamente chiesto di dare una valutazione del proprio livello: il gruppo dei competenti lo stimava correttamente, mentre quello dei non competenti soggetti alla distorsione continuava a sopravvalutare il proprio livello.
Dunning e Kruger hanno spiegato questo effetto alla luce della stessa incompetenza dei soggetti, che non consente loro di padroneggiare quelle strategie metacognitive che permetterebbero una maggiore consapevolezza dei propri limiti.
Quanto sono importanti l’autostima e l’autoefficacia sul posto di lavoro?
A ben pensarci il rapporto tra autostima/autoefficacia e rendimento si palesa già dalla scuola primaria: alti livelli di autostima/autoefficacia rappresentano un buon indicatore e predittore del rendimento scolastico. Si tratta di una tendenza che continua nella vita adulta: la fiducia nelle nostre capacità è in grado di migliorare le prestazioni di lavoro e, per lo stesso motivo, il successo lavorativo può aumentare i nostri livelli di autostima/autoefficacia.
Autostima e organizzazioni
Come dimostrato da numerose ricerche, i lavoratori che presentano una sana autostima hanno diversi vantaggi in ambito lavorativo: difficilmente manifestano la sindrome dell’impostore, hanno un maggior grado di autoefficacia, sono migliori nel processo decisionale di carriera, hanno più probabilità di crescita lavorativa e di avere una carriera di successo, hanno una maggior job satisfaction e gestiscono in modo migliore il work/family conflict.
Autoefficacia e organizzazioni
Numerose ricerche dimostrano che i lavoratori con una sana autoefficacia tendono a prefiggersi obiettivi più elevati, sono più persistenti e motivati, hanno più fiducia nelle proprie capacità, si impegnano maggiormente e reagiscono più positivamente allo sforzo fisico e psicologico e al sovraccarico di lavoro. Inoltre, si è scoperto che l’autoefficacia si relaziona positivamente alla prestazione lavorativa, alla job satisfaction, alla leadership e all’imprenditorialità, oltre a prevenire il manifestarsi del born out e a predire il work engagement.
References
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